Rieccoci a parlare del Covid.
In attesa che si trovino terapie più efficaci e che il vaccino manifesti i suoi effetti, è molto interessante quanto evidenziato dal gruppo di medici della Accademia di Medicina di Torino, alla quale appartengono primari e professori di varie università italiane.
Le prove raccolte sino ad oggi suggeriscono come una integrazione di vitamina D sia in grado di ridurre in modo significativo le forme gravi ed i decessi da COVID-19.
La vitamina D ha effetti sulla risposta immunitaria, sia innata che adattativa, fondamentale per le difese antivirali.
Sono presenti su PubMed (banca dati di medicina) circa 300 lavori relativi al legame tra COVID-19 e vitamina D che hanno confermato la carenza di vitamina D nella maggioranza dei pazienti affetti da COVID-19, soprattutto se in forma severa (Kohlmeier M et al Avoidance of vitamin D deficiency to slow the COVID-19 pandemic) e di una più elevata mortalità ad essa associata (De Smet D et al. Serum 25(OH)D Level on Hospital Admission Associated With COVID-19 Stage and Mortality).
L’utilità della somministrazione di Vitamina D (in particolare colecalciferolo- D3) a pazienti COVID-19, sia nella prevenzione che nel trattamento, è stata largamente confermata.
Tutti i dati sino ad ora disponibili forniscono, per il gruppo di medici dell’accademia di medicina di Torino, interessanti elementi di riflessione e di ripensamento su un intervento potenzialmente utile a tutta la popolazione anziana, che in Italia è in larga misura carente di vitamina D (Isaia G et al., Prevalence of hypovitaminosis D in elderly women in Italy).
Di seguito alcuni dati a sostegno dell’utilizzo della vitamina D (evidenziati dalla relazione sopra citata):
- In uno studio osservazionale di 6 settimane su 154 pazienti, la prevalenza di soggetti con carenza di vitamina D (<20 ng/mL) è risultata del 31,86% negli asintomatici e del 96,82% in quelli che sono stati poi ricoverati in terapia intensiva (Jain A et al., Analysis of vitamin D level among asymptomatic and critically ill COVID-19 patients and its correlation with inflammatory markers)
- In uno studio randomizzato su 76 pazienti con sintomi lievi, la percentuale di soggetti per i quali è stato in seguito necessario il ricovero in terapia intensiva, è stata del 2% (1/50) se trattati con dosi elevate di calcifediolo e del 50% (13/26) nei pazienti non trattati (Castillo ME et al. “Effect of calcifediol treatment and best available therapy versus best available therapy on intensive care unit admission and mortality among patients hospitalized for COVID-19: A pilot randomized clinical study”).
- In 77 soggetti anziani ospedalizzati per COVID-19, la probabilità di sopravvivenza alla malattia è risultata significativamente correlata con la somministrazione di vitamina D (colecalciferolo), assunto nell’anno precedente alla dose di 50.000 UI al mese, oppure di 80.000-100.000 UI per 2-3 mesi, oppure ancora di 80.000 UI al momento della diagnosi. (Annweiler G. et al., Vitamin D Supplementation Associated to Better Survival in Hospitalized Frail Elderly COVID-19 Patients…)
- Nei pazienti positivi al tampone per SARS-CoV-2, i livelli di vitamina D sono risultati significativamente minori (p=0.004) rispetto a quelli dei pazienti negativi (dato poi confermato da altri lavori che mettevano in evidenza una maggiore velocità di eliminazione del virus e guarigione per coloro che hanno livelli ematici più elevati di vitamina D) (D’Avolio et al., 25-Hydroxyvitamin D Concentrations Are Lower in Patients with Positive PCR for SARS-CoV-2)(Rastogi A. et al. Short term, high-dose vitamin D supplementation for COVID-19 disease: a randomised, placebo-controlled, study (SHADE study),).
Sulla base dei risultati di questi e di altri studi vengono formulate le seguenti considerazioni:
- La vitamina D, contro il COVID-19, sembra più efficace utilizzata in prevenzione (sia per la velocità di negativizzazione, sia per l’evoluzione benigna della malattia in caso di infezione) (Balla M et al., Back to basics: review on vitamin D and respiratory viral infections including COVID-19), soprattutto nei soggetti anziani, fragili e istituzionalizzati.
- Il livello plasmatico minimo ottimale del 25(OH)D da raggiungere in ambito preventivo sarebbe di 40 ng/mL (Maghbooli Z. et al. Vitamin D sufficiency, a serum 25-hydroxyvitamin D at least 30 ng/mL reduced risk for adverse clinical outcomes in patients with COVID-19 infection,), per ottenere il quale occorre somministrare fino a 4000 UI di vitamina D al giorno, anche in relazione ai livelli basali del paziente)
- La vitamina D sembra efficace anche in terapia ma a dosaggi ben più elevati
Il documento del gruppo di medici conclude che, anche se l’utilità della Vitamina D nella prevenzione e nel trattamento del COVID-19 non è ancora del tutto ben definita, risulta importante l’utilizzo sia a scopo preventivo che terapeutico della vitamina D nel corso della pandemia da COVID- 19.
Tralasciando i dosaggi della terapia in corso di infezione, si raccomanda quindi la somministrazione preventiva di Colecalciferolo orale (vitamina D3), fino a 4000 UI/die, a soggetti a rischio di contagio (anziani, fragili, obesi, operatori sanitari, diabetici, …); segnalando che in questo ambito l’utilizzo della vitamina D che, anche ad alte dosi, non presenta sostanziali effetti collaterali
La vitamina D è comunque utile per correggere una situazione di specifica carenza generale della popolazione, soprattutto nel periodo invernale, indipendentemente dalla infezione da SARS-CoV-2.
Da ricordare che le possibili cause di carenza di vitamina D sono molteplici (età, mancata esposizione alla luce solare, fumo di sigaretta, obesità, disturbi o malattie intestinali, terapie farmacologiche, …) e che la carenza di vitamina D non implica solo la possibile insorgenza di rachitismo od osteoporosi, ma anche disturbi che interessano il metabolismo, il sistema immunitario ed anche il tono dell’umore.